L’Assenza, una spiaggia d’inverno

Ho deciso che è qui che passerò l’estate, qui dove io esisto, dove io sono, dove è “mio”, nel mio mentre ci sono io, dice il poeta di Seattle. Quel in between is mine altro non è che la vita stessa, che è mia, condivisa ma mia.E’ questo che ho imparato dalla tua perdita, dalla tua assenza, a sentirmi per la prima volta paradossalmente mio. La storia ha come scenografia la meravigliosa spiaggia di Sant’Agostino a Gaeta.

Che cos’è l’Assenza?
E’ forse una spiaggia d’inverno o la nebbia che la copre?
Scopritelo nella mia seconda storia breve scritta per l’omonimo concorso su Il Mio Libro.
Buona lettura!

E’ dunque questa l’assenza, questa spiaggia al mattino coperta di nebbia, tu che ti muovi leggiadra nel tuo vestito bianco, i capelli nel vento, mentre mi guardi con dolcezza e stupore, come se non dovessi realmente essere li?
Sembra di essere in un quadro, s’intravede una barca appena accennata all’orizzonte che sembra appena bucare la nebbia.
Viene per te?
Ti sta portando per sempre via?
Oppure è per me che sta venendo per portarmi oltre la nebbia in cui è vissuta finora la mia vita da quando sei andata via?
L’assenza, questo sentimento totalizzante e spersonalizzante come l’amore, che ti sconvolge lo stomaco e ti rende la testa incapace di pensare.
Da quando sei andata via questa casa è vuota, priva di senso, ho iniziato a svuotarla pian piano con sempre più diverse scuse.
Un giorno ho deciso di fare a meno del letto, non ne avevo bisogno ora che ero solo, mi bastava il divano, segno confortante della mia precarietà.
Poi ho iniziato a svuotare gradualmente le altre stanze, un regalo alla volta agli amici e a gente sconosciuta, tutto per cercare di liberarmi di te e della tua ingombrante presenza/assenza.
Svuotato tutto, rimane solo l’essenziale, la mia vita sempre più minima.
Una sola stanza dove vivere tutta la mia esistenza quotidiana, dove avvolgermi tra le coperte la notte in attesa dell’alba.
Molti mi dicevano, è un periodo, poi passa, ci si adegua a tutto.
Come diceva quella cantante? “Anche il dolore più atroce si addomestica”, questo vale anche per gli amori più grandi, per l’amore più grande.
Chissà se dove sei ti chiedi come passo i miei giorni, se ti chiedi se sono riuscito a fare i conti con la tua assenza.
Se magari ho un cane o un nuovo amore oppure ho mollato tutto e chissà magari sono su una di quelle isole esotiche con il suo chiringuito, immalinconito dagli anni e dalla tristezza a guardare culi e tette passeggiare sul lungomare.
Chissà.
Probabilmente dove sei non hai nessuna necessità di cercarmi, sei piena di tutto quello che cercavi e volevi e quindi…
E così deve essere l’assenza, questa spiaggia bianca, la nebbia, la mancanza di suoni, di odori, di sensazioni.
 
Ti ricordi avevamo quella casa in riva al mare, quella che amavamo, dove ci rifugiavamo quando avevamo bisogno di una pausa dalla vita.
Da quando sei andata via, non ci avevo più messo piede, non riuscivo a svuotarla come avevo fatto con l’altra, perché c’era davvero troppo di noi.
Oggi sono tornato ed è da li che ti scrivo.
Ho aperto il cancello e sono entrato nel vuoto del giardino, poi superato il cancello in legno: eccomi dinanzi alla veranda, foglie secche sul terreno, l’albero di fichi che muore, la legna per il camino.
Silenzio, il cinguettio degli uccelli, il sussurro del mare oltre la duna, era quello di cui avevamo bisogno nient’altro di più, ci bastava questo per sentirci sereni.
Felici, no quello no, la felicità in sé non esiste, esistono frammenti di felicità che uniti insieme al dolore fanno la serenità, la vita, il trascorrere delle stagioni.
Ho aperto la porta a vetro che porta nelle due piccole stanze del nostro paradiso.
La serratura, come ricordi, non deve essere forzata, deve essere accompagnata dolcemente.
La salsedine colpisce e corrode le cose, le rende incredibilmente fragili.
Cigolando la porta si apre ed entro nella piccola living room, tutto è rimasto com’era dall’ultima volta che sono stato qui.
I mobili pieni di libri, alcuni sparsi sul tavolo, polvere, alcuni oggetti di antiquariato.
Passo a quella che possiamo considerare la camera da letto, è tutto in ordine pronto per la nuova stagione che viene, la stagione in cui tu non ci sarai.
Ritorno sui miei passi attraverso il patio e apro il cancello in legno che porta sulla duna e da li al mare.
Lo apro con difficoltà , il tempo corrode e stabilizza in qualche modo le cose, alla fine cede, e si apre la porta ad un mondo di salsedine, di paure, di attese.
Il mare nel suo continuo movimento raccoglie e trasporta storie, le abbandona a volte sulla riva, le lascia ben in vista per essere raccolte, alcune volte invece le nasconde bene e sono difficili da trovare.
Scendo dalla duna, il vento oggi è calmo, ci sono molti sassi sul bagnasciuga, sicuramente retaggio di una recente mareggiata.
Le onde mi bagnano le scarpe, mi volto per guardare verso il promontorio e noto di non essere solo in questo piccolo mondo in attesa dell’estate.
Una ragazza raccoglie sassi sulla spiaggia con il suo cappellino di canapa, per un attimo scambia il suo sguardo con il mio, ed è davvero solo un frammento di secondo, poi ritorna verso la duna, verso un altro cancello marrone, un’altra casa che attende nuovamente vissuta, e scompare.
Sono di nuovo solo, il mare di fronte e la solitudine di cui mi sto gradualmente di nuovo abituando.

Riti di passaggio

Arnold Van Gennep parla di riti di passaggio, quei riti che ci fanno passare dall’adolescenza all’età adulta, da uno stato all’altro della vita.
La tua perdita, la tua assenza, l’elaborazione del lutto, è stata per me la perdita dell’adolescenza, dei sogni, delle speranze.
Il passaggio ad un’altra stagione, più lenta ma non per questo meno intensa.
Ho deciso che è qui che passerò l’estate, qui dove io esisto, dove io sono, dove è “mio”, nel mio mentre ci sono io, dice il poeta di Seattle. Quel in between is mine altro non è che la vita stessa, che è mia, condivisa ma mia.
E’ questo che ho imparato dalla tua perdita, dalla tua assenza, a sentirmi per la prima volta paradossalmente mio.
Si fa sera, è il tempo di dare calore alle stanze, domani sarà un nuovo giorno, un altro giorno in più che mi allontana dalla tua assenza.