Kustendorf 2024: in bilico tra pace e guerra sul mare che tutto porta con se

Come vi avevo già anticipato qualche giorno fa, la 17 edizione del Kustendorf Film and Music Festival vede la presenza da un nutrito drappello di cineasti italiani: Matteo Garrone, Edoardo De Angelis e Giacomo Abbruzzese. In realtà, se si sosta per qualche tempo nel Ristorante Visconti, uno dei centri della socialità del Festival, ci si accorge che gli ospiti italiani sono molti di più. C’è, ad esempio, il produttore Andrea Gambetta, un habitué della kermesse, e naturalmente ci siamo io e Romina. Ma sono in molti i cineasti presenti e futuri ad avere un legame forte con l’Italia, a partire da Vladan Radovic, che dal 1996 si muove tra Sarajevo e Roma, dove ha frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia, e membro della giuria per il Vilko Filac Award, per la miglior fotografia.

Matteo Garrone

La serata inaugurale ha vissuto tre momenti importanti: la consegna del “Tree of Life” a Matteo Garrone, un premio non alla carriera ma ai futuri lavori, l’omaggio allo stesso regista da parte del “Professore”, con un montaggio delle scene più iconiche dei film del regista italiano, a partire dal suo primo cortometraggio, e la drammatizzazione di una delle scene più famose del film Underground, messa in scena dalla Akademija Utmenosti di Belgrado, con la presenza speciale di uno degli attori simbolo del cinema jugoslavo e protagonista proprio di Underground, Miki Manojlovic.

Akademija Utmenosti e Miki Manojlovic

C’è stato anche un momento musicale davvero molto significativo che ha lasciato i più a bocca aperta. Sul palco, armata dalla sua sola chitarra e occhiali da sole nerissimi, la cantautrice Duda Burzujka, con una canzone energica e ironica al tempo stesso, ci ha fatto riflettere sul mondo delle violenze subite dalle donne anche nel meraviglioso mondo cinematografico. Davvero una performance efficace e un testo molto diretto. Da seguire.

Performance di Duda Burzujka

Il film “Io Capitano” ha concluso la prima parte della serata inaugurale.
Alla conclusione del film, la masterclass di Matteo Garrone, è stato il momento per catalizzare e condividere con il regista emozioni e curiosità. Il film, per chi ancora non l’ha visto, narra del viaggio avventuroso di Seydou e Moussa, partiti di nascosto dal loro villaggio nel Senegal e diretti come molti verso un futuro “migliore”. Nonostante qualcuno cerchi di fermali, ponendo loro davanti la triste realtà di chi va per deserti e mare alla ricerca di miglior fortuna, in quella che è una vera e propria odissea, finiscono per raggiungere Tripoli, dove Seydou, diventerà, su imposizione dei veri trafficanti di uomini, il capitano (lo scafista) della nave. “Io capitano”, griderà con orgoglio alla guardia costiera italiana più volte, l’orgoglio di aver portato tutti vivi a destinazione.

Il film incrocia tre storie vere, quella di Fofana, il vero Seydou, e quella di altri che, invece, non ce l’hanno fatta. Un racconto avventuroso il cui taglio non è però piaciuto a molti, anche a chi in Europa avrebbe dovuto finanziarlo. Non si racconta la migrazione come un racconto d’avventura. O si?

Garrone ha anche specificato che la maggior parte degli attori sono dei veri e propri migranti, tranne i ragazzi che interpretano Seydou e Moussa. Uno stratagemma che il regista ha usato per far vivere in modo realistico il viaggio, è stata la condivisione solo a poche ore dal rodaggio delle scene, del copione, in modo che gli attori non avessero il tempo di “prepararsi ad interpretare una parte”.

Il film in questi giorni viene distribuito in ben 25 paesi del continente africano, e nella serata di presentazione al Kustendorf è arrivata la notizia della nomination all’Oscar per “Io Capitano”, un riconoscimento ulteriore all’ottimo lavoro del regista.

Di migrazioni e di guerre abbiamo detto nel titolo si parla in questi primi due giorni del Festival. Ma c’è qualcosa che lega in modo inscindibile il film di Garrone e il film di De Angelis, il mare. Il mare con le sue leggi, il mare che può salvare e far perire, il mare in cui non ci sono punti di riferimento, il mare in cui però puoi trovare imprevedibili salvatori.

E Salvatore si chiama il “Comandante” di Edoardo De Angelis e Sandro Veronese, film che ci porta nel cuore della seconda guerra mondiale, su un sommergibile in cui, il grande eroe di guerra Todaro, guida un manipolo di militari italiani nella missione di proteggere il proprio paese dagli attacchi delle navi da guerra avversarie. La storia, che segue il canovaccio del libro realizzato a due mani da De Angelis e Veronesi, ci porta direttamente al cuore del problema. Esistono eroi, o “persone per bene” anche dalla parte sbagliata? Eccome se esistono anche se spesso le loro storie si perdono nelle narrazioni dominanti. Il film è stato oggetto in Italia di attacchi sia da parte della destra, e in fin dei conti ce lo si poteva aspettare, sia da una parte della sinistra, che ha visto nel troppo realismo delle divise fasciste indossate dall’equipaggio del sommergibile, un’offesa a chi ha combattuto per la libertà. Ma è davvero così? O forse si tratta di una lettura fin troppo leggera e scontata?

Edoardo De Angelis

Nel corso del workshop il regista ha chiarito alcune cose in merito.

La storia parla dell’uomo Todaro, dell’uomo di mare per cui vengono prima le leggi dell’Oceano e poi quelle della guerra, perché come dice nel film e nel libro : “Noi le navi le affondiamo, ma gli uomini li salviamo”.

Todaro e i suoi sodali seppur tra incertezze, paure e rabbia accettano di prendere a bordo del sommergibile i naufraghi del mercantile belga che hanno affondato poco prima. Quello che si vivrà per circa quarantotto ore nella pancia della bestia di ferro, sarà un coacervo di umanità e di grettezza. Un paio di belgi decidono di fare in modo di vendicarsi dei “fascisti” che li hanno accolti e strappano i cavi dell’elettricità. Nel buio e nella rabbia che segue, Todaro da ai due marinai belga seguito da tutti, il castigo che darebbe un padre ad un figlio troppo stupido da comprendere la portata dei suoi gesti.

“Fascista io…” esclama con rabbia Todaro, “io sono un uomo di mare”.

Ed il mare e la improvvisa non belligeranza di alcune navi da guerra inglesi farà in modo che il volere di Todaro si compia: si salveranno tutti, i marinai del mercantile Kabalo, e negli anni successivi dopo la prematura morte in guerra del Comandante, in molti andranno a trovare la famiglia di Todaro per rendere omaggio alla sua memoria.

Perché i buoni ci sono anche dalla parte sbagliata che ci piaccia ammetterlo o no.

Il mare, la migrazione e la guerra sono stati il background di almeno tre dei sei corti in concorso nella seconda serata del Festival.

E nel prossimo reportage ci soffermeremo su alcune storie che vengono direttamente dal cuore dei balcani e che anche in questo caso parleranno, sicuramente, al cuore di chi sa ascoltare.