La prima estate senza di te

Gaeta, riviera di Ponente, un cancelletto si apre sulla spiaggia e il sale e il mare portano al cuore i ricordi di un meraviglioso mondo a parte dove da pochi mesi manca una parte essenziale. Fine anni ottanta del novecento, l’incontro tra differenti modi di vivere. Tre comunità quelle dei vacanzieri romani e napoletani e quella dei “marocchini” che imparano l’arte della convivenza e del rispetto giorno per giorno. La fortuna di aver vissuto questo tempo piccolo, nel ricordo di chi è andato via.

Era la prima estate senza di te, caro zio, che eri divenuto con il tempo tutt’uno con quei luoghi, quasi a divenirne lo stesso spirito, la stessa anima. Da quando sei volato via sento in me la necessità di tenere vivo sempre di più il tempo passato insieme, in una piccola comunità che ha conosciuto la fortuna di avere un legame forte con il mare e con la vita. Il tuo spirito è nelle pietre della nostra casetta, nella sabbia che il mare modella ogni giorno incessantemente.

A mio Zio Enzo
Ad Alberto

Il cancelletto di legno fatica ad aprirsi, il chiavistello è corroso dal sale del mare, è necessario un deciso colpo di martello perché ceda. Ma l’impresa vale il premio, perché superata una piccola duna, lo spettacolo che ci si pone dinanzi è di quelli indimenticabili, un mare verde e azzurro che sembra uscire da una cartolina proveniente dai caraibi, un cielo così celeste da essere difficile da dipingere.
Ma non siamo ai Caraibi, fortunatamente e direi orgogliosamente ci troviamo sulla Riviera di Ponente tra Gaeta e Sperlonga, ma in pieno territorio gaetano, una delle spiagge più belle del sud pontino, che spesso, però, pochi conoscono o apprezzano davvero.
Mentre chiudo gli occhi e assaporo il sale del mare non posso non pensare che questa sarà la prima estate senza di te, la prima estate in cui non t’incontrerò al mio arrivo, la prima estate in cui non mi prenderai bonariamente in giro, in cui non parleremo del mare che si sta mangiando la spiaggia o dell’essenziale bellezza di una vita passata a due passi dal mare.
Un amico che, come te, aveva scelto di vivere sempre con il mare al suo lato, al mattino, al risveglio, guardando l’oceano iniziava la giornata con una frase che avresti potuto pronunciare anche tu: “Proprio non riesce ad andare male”. Quanto mi manca anche lui, con la sua barba bianca e la sua bonaria saggezza.
La prima estate senza di te e non sembra vero, perché il tempo qui, sembrava davvero sospeso, sembrava davvero non dovesse passare mai, un’eterna estate, come quelle dell’adolescenza. Ed invece, la tua assenza è il segno inconfutabile che quella stagione è drammaticamente passata e che sarà sempre più difficile, per via delle cose della vita, trovare il tempo per fuggire nel nostro angolo di paradiso.
Per noi che siamo nati e vissuti a Gaeta il mare è tutto. Come tutti coloro che nascono davanti al mare, inevitabilmente il mare ce lo portiamo dentro come una benedizione, un’ossessione, spesso come una maledizione, a volte come una malattia.
E per noi che fino ai vent’anni e oltre abbiamo passato lunghissime estati con il mare come unico permeabile confine, questa sorta di saudade è ancora più struggente.
Conosco una ragazza che, quando si trova di nuovo di fronte al mare, compagno di sempre, dopo una lunga separazione, non può fare altro che tuffarsi direttamente nelle acque con tutti i vestiti tanto è il desiderio di lasciarsi andare nelle braccia dell’amato.
Il mare è vita, amore, poesia, incontro, a volte però è anche morte, lacerazione, condanna, e le donne di Gaeta lo sanno bene, sempre in attesa che tornino i propri mariti dal mare, sempre sperando che l’incontro che verrà riuscirà a colmare le mancanze e i turbamenti di una lunga attesa.
Gaeta, la mia città natale, il luogo dell’anima dove torno sempre quando ho bisogno di sentirmi primordialmente a casa. Il luogo dove sono le mie radici, dove vivo nelle cose che mi sono attorno. Gaeta con i suoi “due mari”, la città vecchia dove i Borboni hanno resistito dinanzi all’invasore sabaudo fino alla fine, Gaeta che d’estate diventa un brulicare di voci, colori, odori, e che poi gradualmente si spegne in autunno e dorme un lungo letargo in inverno.
Gaeta che per me però era quasi sempre piacevolmente lontana nei mesi estivi, perché la mia vita era altrove, in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio in cui la vita aveva ritmi e norme singolari.
Alla fine degli anni settanta del secolo scorso, fa strano dirlo, sembra passata una vita, e forse, in effetti, è passata, mia madre e mio zio comprarono un terreno sulla Piana di Sant’Agostino per passarci le estati tutti insieme, piccoli, grandi, parenti, amici, occasionali villeggianti.
All’inizio non c’era quasi nulla, neanche una casa di legno, un paio di vecchie roulotte che servivano giusto come riparo e noi bambini che correvamo tra le dune verso il mare mentre i nostri cercavano di rendere vivibile quel pezzo di terra che sapeva di mare.
Ho poche foto di quel periodo, anche perché di foto se ne facevano poche, prima del digitale, ma nonostante tutto ci sono immagini che rimangono impresse nella memoria come tatuaggi sulla pelle.
In una delle poche foto c’è mia madre che posa con una pala nell’atto di scavare, in altre ci siamo noi cugini che festeggiamo il compleanno di qualcuno, e riemerge dall’archivio qualche foto scattata sulla spiaggia in formazione durante uno degli interminabili tornei di calcio.
Eravamo una vera e propria “Grande Famiglia Allargata” in cui tutti si prendevano cura di tutti, senza dar peso a quali fossero i legami di sangue.
Con il tempo mio zio e mio padre iniziarono a costruire pietra su pietra una piccola casetta, che è ancora li che resiste orgogliosa al tempo e al sale del mare, che servisse da riparo per l’estate, in modo da lasciare le roulotte dove dormivamo.
Quante ore passate a scavare il pozzo da cui estrarre quell’acqua sospesa tra il dolce e il salato, e quante risate, quante incazzature anche e qualche piccolo infortunio, come quando, ad esempio, mio padre venne compito in pieno cranio da un martello. Tutto in qualche modo passava con un sorriso e un buon bicchiere di vino.
Col passare dei mesi, degli anni, si venne a formare una sorta di mondo a parte che riviveva come in un dejà vu nei soli mesi d’estate, un mondo fatto di piccole grandi cose, di solidarietà, di notti piene di stelle e mare, un mondo popolato da personaggi che sembravano usciti da un film di Pasolini.
A ricordarla adesso questa variegata comunità, mi fa pensare a una di quelle che oggi chiamiamo micro nazioni non riconosciute, inesistenti per la legge ma reali per le persone che vi vivono, Cristiania ad esempio, ma forse ancor di più Akvilia o il Principato di Sealand, il cui territorio è una ex piattaforma e di cui mi pregio di essere cittadino e “Sir”.
In estate, soprattutto nei primi anni, dal napoletano e dal casertano intere famiglie si trasferivano sul litorale di ponente per la loro vacanza a mare. Erano per lo più famiglie che non potevano permettersi una vacanza costosa e quindi passavano parte dell’estate in roulotte, tende e, sembra inventato, ma vero, in veri e propri TIR.
In un campo affianco al nostro prendeva posto questa variopinta comunità che viveva talvolta di equilibri precari, da una parte la forte comunità campana dall’altra la meno numerosa ma non per questo meno variopinta comunità romana. Tra queste due comunità così diverse, eppure così uguali, si creavano legami che andavano oltre l’estate. Alcune coppie si sono innamorate li tra le dune e le roulotte, altre si sono invece sfasciate per sempre anche in modo drammatico.
Eravamo una tribù di cui noi piccoli facevamo parte integrante: non importava di chi tu fossi figlio c’era sempre qualcuno che ti guardava, ti curava, ti faceva sentire parte di una incredibile comunità elettiva.
I nomi e i volti di molti si perdono nella memoria, qualcuno ancora adesso viene ancora da noi alla ricerca di un porto salvo, di un luogo che ha un’anima.
Quanti personaggi abbiamo incontrato e vissuto: ti ricordi dell’Onorevole, di “Mamma mia aiutami” di Gianfranco, di Titto, Claudio. E di Catapane e i suoi amici?
L’Onorevole, lo chiamavano così perché probabilmente era una sorta di politico locale, o forse ancora peggio forse un personaggio rilevante del “contro stato” della provincia di Caserta. Ma questo nel nostro mondo a parte non aveva importanza, L’Onorevole era solo uno di quei tanti personaggi bizzarri che popolavano l’estate.
Come dimenticare, ad esempio, “Mamma Mia Aiutami”. Mai saputo il suo nome, lo chiamavamo così dal tatuaggio che aveva sulla spalla. Solo successivamente avremmo capito che era un tipico tatuaggio che si fanno i detenuti, e che quindi quest’uomo dalla faccia dura e dal corpo segnato, portava con sé chissà quali segni ancor più forti nell’anima.
Poi c’erano i romani, Gianfranco e il suo cane che abbaiava solo ai “marocchini”, la moglie con la sua risata contagiosa, e i figli Titto ex giocatore giovanile della Roma fermato da un brutto infortunio, e l’altro figlio Claudio che viveva in un mondo tutto suo.
Ma questa composita comunità, già così irriconducibile alle normali comunità vacanziere, si arricchiva di un particolare in più, una interculturalità ante litteram.
Non so dire per quale motivo in particolare, ma ad un certo punto il nostro luogo divenne il punto di riferimento dell’altrettanta composita comunità “marocchina” che passava l’estate a consumare il bagnasciuga avanti e indietro, nel tentativo di vendere le loro povere cose.
Un giorno si fermarono a prendere una birra e da allora anche se i “marocchini” non ci sono più, e sono sempre più ragazzi pakistani a cercare di sbarcare il lunario, quelli che oggi chiamiamo extra comunitari, da sempre continuano a fermarsi da noi per un momento di riposo e per prepararsi per la giornata. Come in un passaparola che supera il tempo e lo spazio.
Quanti ricordi, e quanti volti indimenticabili: Paolo “marocchino” che girava l’Italia in lungo e largo per vendere le sue mercanzie, il ragazzo tunisino di una bellezza incredibile, pelle scura e occhi chiari tanto da sembrare un tuareg. Questi uomini segnati dal lavoro e dal caldo la sera si riunivano in un altro campo affianco al nostro, compravano un numero imprecisato di birre e passavano la notte a suonare i tamburi davanti al fuoco.
Caro Zio, chi ha mai avuto la fortuna di vivere un’infanzia e un’adolescenza così? Non molti penso, noi tutti abbiamo avuto la fortuna di vivere in luogo magico, un paradiso in cui bastava poco per essere felici: una lunghissima partita a carte serale per gli adulti, infiniti tornei di calcio sulla spiaggia per noi piccoli, i primi innamoramenti del tutto platonici, sole e mare a perdita d’occhio.
Quante immagini si sovrappongono mentre scende il sole e sale una meravigliosa fresca brezza marina.
La spiaggia cambia colore al calare del sole dietro l’orizzonte e riemergono dagli archivi filmati della memoria, altre immagini difficili da dimenticare. Le sere d’estate al termine del fine settimana io, mio fratello e i miei cugini percorrevamo con delle cassette tutta la spiaggia alla ricerca dei vuoti a rendere lasciati dai turisti sulla spiaggia. Ogni bottiglia restituita valeva qualche centesimo e alla lunga diventava un tesoretto.
Comincia a far fresco, non siamo ancora a giugno e questo maggio è il più fresco degli ultimi anni.
Chissà dove sono adesso molti dei membri di questa meravigliosa comunità? Molti, penso, li immagino con te adesso, magari state ridendo e bevendo alla nostra salute, davanti ad un infinito mare. Altri chissà dove li ha portati la vita.
Di quella rumorosa e scalcinata compagnia siamo rimasti in pochi, con te ancora meno, ma qualcosa di nuovo c’è che nasce e cerca il suo spazio e luogo nel mondo. Chissà se la nostra nipote e altri bimbi che verranno, si spera, vorranno far parte di questo mondo fatto di pace, ricordi e futuro.
Mi volto verso la strada, c’è B., mio cugino che sta mettendo a punto le ultime cose, mi sorride, gli sorrido di ricambio e lo saluto con la mano, ora è lui che ha in mano la responsabilità di questo piccolo mondo.
Lo guardo mentre lavora e penso che è un miracolo che, dopo tutto quello che la vita ti propone, separazioni, litigi, riappacificazioni e poi ancora legami interrotti a volta definitivamente, noi cugini siamo ancora qui, a vivere questo luogo con il rispetto che si deve ad una sorta di santuario, di memoriale alla natura e alla vita.
Siamo stati capaci di restare sempre ai margini delle lacerazioni delle nostre famiglie e in questo siamo stati forse, più grandi dei grandi, e questo è un miracolo, il miracolo di questo meraviglioso mondo a parte.
Caro Zio è ora che vada, per me tu sarai sempre qui, e sempre qui ti cercherò, non importa dove siano le tue ceneri adesso, tu vivi qui tra queste dune, nelle onde di questo mare, nelle pietre che tu e mio padre avete messo su in queste piccole case, nelle spaghettate serali con il sugo di frutti di mare o granchi appena pescati, nei mattini colmi di futuro e speranza.
E sempre qui ci ritroveremo tutti, perché come ha detto una volta l’altro mio cugino S.: “Abbiamo un posto in cui incontrarci sempre…”.
E questo è anche il tuo miracolo.
Il sole è calato nel mare, chiudo il cancello e mi avvio verso la macchina, senza disturbare B. è andato via.
Sono solo adesso, chiudo gli occhi e partono le note di una canzone, “Long Road”, la lunga strada, scritta da un grande poeta che ama il mare: “L’ho desiderato così tanto, ma non posso restare… tutti i momenti preziosi… non posso restare… le mani che si stringono sono quelle di figli e figlie… percorrerò la lunga strada? … tutti gli amici e la famiglia… tutti i ricordi girano intorno… intorno… E il vento continua a ruggire… ed il cielo continua a farsi grigio… e il sole è tramontato… e sorgerà un altro giorno…”.
E sorgerà un altro giorno e nella rugiada del mattino, nell’onda che schiuma la sabbia, noi vivremo sempre qui, in attesa che la comunità si ritrovi, che le voci riempiano di nuovo il silenzio, che facce più scure delle nostre ma colme della stessa dolcezza, passino nelle nostre vite, che si riaccendano i fuochi nella notte e che la musica di questa lunga estate che è la vita ci culli sulle onde del nostro tempo fluido.
È sera e brindo a te che hai vissuto pienamente la vita che alla fine volevi.
Ci si vede domani in questo nostro paradiso tra terra e mare.

Il racconto è stato pubblicato su Il Mio Libro.